Il referendum del 12 e 13 giugno è stato una specie di funerale del nucleare. Ora rimangono solo considerazioni e pareri ma non bisogna stare a guardare, bisogna invece capire quali sono gli obiettivi che ci vogliamo porre per il futuro. Ovvero se seriamente vogliamo fare una rivoluzione energetica ed attuare quello che Lester Brown chiama il Piano B e perciò – sempre per dirla con Brown – iniziare a pensare che è come se fossimo in guerra e di cambiare tutto il nostro assetto industriale e dei consumi.
Oppure possiamo decidere di continuare sulla strada che percorriamo da anni, senza un vero Piano Energetico Nazionale, dove il primo che si alza in piedi detta la linea del Paese senza indicare la via.
Tutti hanno sempre bisogno di Piano B anche se noi ancora non abbiano nemmeno quello A.
Dopo l’incidente di Fukushima in tutto il mondo si è innescata una discussione politica e scientifica attorno al nucleare che in realtà dura da tempi ben più lontani. La Germania di Angela Merkel ha deciso di abbandonare l’atomo con un programma che ne prevede l’uscita in maniera graduale, negli altri Paesi dell’Europa saranno effettuati degli “stress-test” sulle centrali esistenti. In Francia dove l’economia gira attorno al nucleare il ministro dell’industria Eric Bessonha fatto sapere che non ci sarà alcuna svolta epocale e che i francesi continueranno sulla loro strada.
In Italia invece i cittadini sono chiamati a decidere se il piano energetico del Paese dovrà prevedere o cancellare il nucleare. Il referendum (assieme a quello per l’acqua) è stato decisamente molto politicizzato dal Pd e molto dall’Idv salvo poi fare retromarcia, perché se prima per Di Pietro il referendum era uno strumento per mandare a casa Berlusconi oggi pensa che invece si tratta di una nobile espressione di democrazia diretta (l’unica prevista dalla nostra Costituzione) che nulla ha a che vedere con le sorti del Governo. Mi sembra una mossa di lealtà. Anche perché votare sì non per forza vuol dire essere contro il premier Berlusconi. Discorso a parte si potrebbe fare sul legittimo impedimento, ma di quel referendum nessuno ne parla.
Comunque sarebbe bello che in televisione venissero approfonditi decentemente i temi sugli aspetti energetici del Paese ma forse è chiedere troppo: ho seguito Annozero lo scorso giovedì, ma alla fine la trasmissione finisce con urla da una parte e dall’altra e quindi dubito che la gente possa farsi un pensiero in base a chi mostra più carattere o strilla di più o vedendo dall’Ipad di Chicco Testa le foto del suddetto a Fukushima. E poi, con tutto il rispetto per Celentano, mi pare tutto lo spazio dedicatogli per parlare contro il nucleare fosse un tantino esagerato. Io avrei dato la parola anche a qualcun altro, magari più competente.
In seguito al terremoto del Giappone che ha provocato dei danni alle centrali nucleari, specie al primo reattore della centrale di Fukushima, in Italia siè aperto il dibattito tra favorevoli e contrari al nucleare. È previsto inoltre il referendum abrogativo per impedire la costruzione di nuovi impianti dell’atomo nel nostro Paese. Io ho espresso il mio parere sul sito del Fatto Quotidiano.
E tu che cosa pensi del nucleare in Italia? Sei favorevole o contrario alla costruzione nuove centrali in Italia?
Secondo il Ministro del Welfare Maurizio Sacconi il problema della disoccupazione giovanile ha una matrice precisa: i genitori distratti che da “cattivi maestri” hanno condotto i propri figli “a competenze che non sono richieste dal mercato del lavoro”. La ricetta proposta è quella di meno studio e più figure professionalizzate.
Intanto l’Istituto nazionale di Statistica fornisce dati poco confortanti i quali dicono che il tasso della disoccupazione (stabile all’8,7 per cento) è al massimo storico dal 2004, ma che il numero di giovani senza lavoro continua ad aumentare. Per loro cercare un’occupazione non è un gioco, anche se il ministro Giulio Tremontiparla della crisi economica definendola “un videogame con dei mostri da sconfiggere”.
Sempre secondo il ministro Sacconi i giovani devono saper accettare qualsiasi offerta, qualunque essa sia. Certo questo aiuterebbe a far uscire qualche “bamboccione” da sotto il tetto dei genitori, ma per quanto tempo è possibile farlo e a quali condizioni?
La vicenda del referendum Fiat a Mirafiori inquadra perfettamente la situazione in Italia: da una parte una azienda che tenta di uscire da una crisi pesante e ripartire con la produzione, dall’altra gli operai che si trovano a dover affrontare la scelta di rinunciare a qualche diritto, conquistato negli anni passati con dure lotte, pur di mantenere il posto di lavoro. Una strada molte volte senza uscita comune a tanti di quei giovani che oggi entrano nel mondo del lavoro e a cui viene offerto un contrattino con durate che variano dai 10 giorni prorogabili di volta in volta, fino ai 6 mesi o 12 per i più fortunati. Chi entra a queste condizioni godrà di qualche vantaggio, ma nessuno gli leverà mai dalla testa che alla scadenza del contratto potrebbe essere mandato a casa.
Inoltre quali sono i sindacati che difendono queste categorie di lavoratori? Per questo esercito di giovani si crea un problema di rappresentanza sia sindacale che politica. Un sondaggio commissionato dal segretario democratico Pierluigi Bersani rivela infatti che Pd e Pdl, cioè i due maggiori partiti in Italia, rappresentano solo i vecchi del Paese e godono di una scarsa credibilità nel mondo giovanile. Entrambi i partiti potrebbero raggiungere, sommando i loro voti, la soglia del 65 per cento, ma solo se a votare fossero esclusivamente i pensionati. E studenti, disoccupati, operai e tutte quelle categorie che soffrono la crisi? Né il Pd né il Pdl sono in grado di rappresentarli.
articolo pubblicato su L’Isola – quindicinale siciliano
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